Chi controlla le informazioni, controlla il potere
Dalle multinazionali al remote working, come le reti di comunicazione determinano chi emerge — e chi resta invisibile
Almeno una volta nella vita lavorativa ve lo sarete chiesti: - come ha fatto Tizio a diventare capo di quella divisione? Sa a malapena allacciarsi le scarpe, eppure ricopre quel ruolo adesso.
Tu lavori a testa bassa, lui ha scalato i vertici sgomitando, usando tutti per sembrare brillante.
A prima vista, potrebbe sembrare il classico sfogo di chi è afflitto da un complesso d’inferiorità.
Ma in realtà storie così si sentono spesso. In consulenza le ho vissute, amici me le raccontano (con vocali infiniti), e da osservatore distaccato le trovo anche interessanti. A volte persino divertenti.
Com’è possibile che ciò accada? In un sistema meritocratico forse questo non dovrebbe accadere!
C’è una costante, quando certi individui iniziano la loro ascesa: si piazzano al centro dei flussi di comunicazione. Benché non si tratti necessariamente di un atteggiamento da vedere con sospetto, è bene tenere a mente una cosa: controllare le reti di informazione pone le basi per accrescere il proprio potere.
Nelle grandi multinazionali è molto difficile farsi notare se non si è anche bravi a comunicare. Puoi essere il più preparato e diligente della tua divisione, ma se il tuo manager non te lo riconosce pubblicamente o non ti sponsorizza, rischi di rimanere invisibile. Al contrario, se riesci a ingraziarti la persona giusta o a diventare il custode di informazioni vitali, diventi insostituibile.
Anni fa lavoravo per un’azienda che non mi piaceva molto come operava - niente di illegale, solo divergenze, ci tengo a precisare.
Accettai quel lavoro perché lì dentro c’erano colleghi con cui avevo già lavorato, e mi piaceva l’idea di tornare a fare squadra con loro. Questi miei colleghi avevano realizzato l’intera struttura di siti web (si traduce in: avevano la memoria storica) di questa azienda.
Quando annunciai le dimissioni, probabilmente scattò l’allarme. Gli amministratori sapevano del mio legame con i colleghi chiave e li convocarono subito per offrire loro un cospicuo aumento, avevano paura di un effetto a catena.
Erano insostituibili e l’azienda lo sapeva.
Harari, nel suo libro Nexus, descrive l’informazione in questo modo:
È convinzione comune che essere informati e ben documentati significa scoprire la verità, e quest’ultima porta alla saggezza e dunque al potere. Quante volte avete sentito dire “verità è potere”? Ma questa è ciò che viene descritta come la “visione ingenua” dell’informazione.
La visione ingenua dell’informazione
Se io sarò un dipendente modello, lavorerò duro, mi comporterò bene e saprò gestire con saggezza le informazioni che confluiscono verso di me , verrò notato e così avrò il mio giusto riconoscimento.
Ma è una visione ingenua, soprattutto in ambienti competitivi dove il gioco si fa più sporco.
Giusto per tracciare un parallelismo: sui social e nei siti di news siamo sommersi di informazioni dalla mattina alla sera. La stessa notizia può apparire gravissima per alcuni (di un certo orientamento) e irrilevante per altri (di orientamento opposto). A sostegno della propria tesi si selezionano solo i dati favorevoli (cherry-picking) e si manipola il contesto. In pratica, ognuno tira la coperta dalla propria parte.
La visione complessa dell’informazione
Un collega invidioso che ha accesso a molte informazioni ma allo stesso modo è più libero di diffonderle può ad esempio mettere in cattiva luce un altro collega, perché se c’è una cosa che ci ha insegnato la storia (con le fake news oggi, con la propaganda nazista ieri) è che una storia falsa ripetuta più volte alla fine viene interiorizzata come vera.
Se tutto questo accade già negli uffici fisici, figuriamoci nel lavoro da remoto, dove l’empatia è ridotta ai minimi termini e basta una battutina ed una parola insinuata al momento giusto per compromettere la reputazione di qualcuno.
Possiamo affermare che la visione dell’informazione è più complessa di quella mostrata in precedenza, anzi, possiamo immaginarla così:
L’informazione non è necessariamente verità, e come dicevo prima una diceria può mettere in seria difficoltà il collega che non sta giocando allo stesso gioco.
Quante volte vi è capitato di lavorare su un software - o più in generale su un'area aziendale - senza alcuna documentazione tecnica, ma con una sola persona che custodiva tutta la memoria storica del progetto?
Questo è tipicamente un accentramento di potere. E le aziende più ingenue faranno di tutto per tenersi stretta quella persona — non per merito tecnico sia chiaro, ma per una conoscenza specifica e non trasferita.
Queste persone, dato lo status acquisito non permetteranno mai di buon grado la condivisione delle sue (esclusive) conoscenze poiché diventano un punto di snodo (o collo di bottiglia) per qualsiasi tipo di decisione o modifica - tutti atteggiamenti che compromettono la crescita di un team.
Un consiglio alle aziende: corresponsabilizzate.
La conoscenza distribuita rende forti. L’accentramento, invece, vi rende fragili.
Ci sono momenti in cui sembra una buona idea accentrare tutte le informazioni: si velocizza tutto, si evitano ambiguità, ma ad un certo punto si creano colli di bottiglia: quando quella persona chiave manca, tutto si ferma.
Conclusione
In conclusione possiamo affermare che quando l’informazione confluisce sempre, costantemente verso una sola persona, state pur certi che nel bene o nel male quella persona avrà potere.
Quando una persona sa informazioni esclusive, le gioca unicamente a suo vantaggio.
Quando tutta l’informazione passa per una sola persona, quella persona non solo sa, ma decide cosa gli altri devono sapere.
E a quel punto non saranno i meriti a contraddistinguere tutti gli altri, ma la narrativa che quella persona sceglierà di portare avanti, sul progetto e su di voi.
In azienda, chi controlla le informazioni, controlla la narrazione. E chi controlla la narrazione, controlla il potere.